Ora tu vuoi sapere
perché ho accettato.
Non mi puoi giudicare
per averlo sposato.
Non l’ho scelto io
ho fatto a modo loro
per amore di Dio
e per il nostro decoro
ma prima ho detto no
non lo volevo sposare.
Ero giovane, perciò
sognavo di sognare
tracciare il mio destino
come se non sapessi
che i miei sanno il cammino
e muovono i miei passi.
Non volevo, a dire tutto,
accettare quel marito.
Pensavo che era brutto
e che mi avrebbe tradito.
Mia madre mi ha picchiata
e il silenzio è più duro
in casa ero isolata
più niente era sicuro.
Mio padre, che è orgoglioso,
l’ho visto supplicarmi.
Ho detto: “sì, lo sposo”.
Ho voluto adeguarmi.
E ora che quell’uomo
è entrato nel mio letto
io chiedo perdono
se non provo diletto
ma ho un figlio e ormai non penso,
nelle ore del giorno.
Non chiedo più se ha senso
tutto quello che ho intorno.
Lo posso anche accettare
il ruolo che ho da sempre
ma voglio comandare
sopra alle mie sorelle.
Che si provino, illuse,
a fare una vita diversa!
Io le tengo rinchiuse
e sarò pure perversa
ma so il mio sacrificio
e devono fare lo stesso.
Si abbatta un maleficio
su ogni cammino diverso.
Poi spiego che è per loro,
per restare in famiglia.
Il prezzo del decoro
è esser sempre figlia.
Dimostro con fermezza
che me la faccio andar dritta.
e inghiotto l’amarezza
di essere sconfitta.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile di Cukerì che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche