Appena sono arrivato
non ho potuto studiare.
Lei mi ha segregato.
La dovevo aiutare.
Badavo ai miei fratelli
e sistemavo la casa
stavo io ai fornelli
lei faceva la spesa
perché da ragazzino
non mi vendono tutto.
Non la birra e il vino.
È stato molto brutto
Mia madre non cucina
mia madre non pulisce
dorme tutta la mattina
e si spazientisce
specie con mio fratello
quando è piena di birra.
È un bimbo bravo e bello.
non riesco a capirla.
Se non mangia una cosa
gliela ficca in bocca
con le sue unghie rosa.
È un taglio ovunque tocca.
È proprio devastante
vederlo sanguinare.
Mi guarda implorante
e non lo posso aiutare.
Poi lei va a buttarsi
su quella poltrona.
Riesce a addormentarsi
come una mamma buona.
Ore dopo, al risveglio
la vedo piangere da sola
e io sono un figlio
che guarda e non consola.
Dovrei andarle vicino
farle sentire il mio affetto
ma mio fratello è un bambino
e lei non ha rispetto.
Io non volevo farlo
ma ero sotto minaccia.
Ho dovuto picchiarlo
sul corpo e sulla faccia.
Se non lo picchiavo io
non mi avrebbe risparmiato.
Chiedo perdono a Dio
per non averlo sopportato.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche