Avere 7 anni, crescere in una famiglia che senti tua perché è quella che ti dà affetto, ti cura, ti riconosce come persona, ti insegna le regole per stare insieme agli altri, e un bel giorno scoprire che tutto questo non vale niente. Il Procuratore in Cassazione chiede di ribaltare scelte precedenti asserendo che il legame di sangue deve prevalere su ogni altra considerazione.
Che questo sempre realizzi "il preminente interesse del minore" non mi è dato sapere nel caso specifico, ma risulta assai dubbio di per sé. In ogni caso ci interpella su come un bambino possa vivere una sentenza di questo tipo, su come si possa sentire.
Nell'anno 1
non mi lego a nessuno
ma dopo il secondo
già più giocondo
entro nel 3
e mi fido di te.
Poi, con il 4
son soddisfatto.
5 le dita
della mia mano.
Nella mia vita
scopro pian piano
che tu ci 6
nella mia storia
e non te ne andrai
dalla memoria.
Ma ecco il 7.
Faccio bau-sette
e quando ritorno
cambia il contorno.
Sono arrabbiato:
mi hai abbandonato?
Devo eseguire
senza capire?
Il giudice scrive.
Chi sopravvive?
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche