Dopo 17 anni a vedere papà ubriaco,a fuggire di casa con la mamma per non prendere botte, dopo 17 anni a far sembrare normale quello che normale non è, la ragazza ha rotto gli indugi. Ha rotto il contratto. Ha rotto la quiete. Ha rotto le convinzioni acquisite. E ha cominciato a dare fastidio: a scappare da sola, dormire fuori, bere, fumare… fino a denunciare. Denunciare il padre per maltrattamenti. E c’è riuscita, a smuovere le acque. C’è riuscita talmente bene che dopo di lei anche la mamma ha denunciato le botte del marito e Melina è contrariata, nella sua mente papà vuole cambiare, mamma dovrebbe accoglierlo a braccia aperte, e tutti insieme vivere felici e contenti.
Su quanto ormai stia rischiando lei, con quegli amici, quel bere e fumare, al momento è difficile confrontarsi.
La ragazza
Mio padre ha capito tutto
e voglio tornare a casa.
Lo sa quanto è stato brutto
per questo ne sono evasa.
La troppa malinconia
lo attaccava alla bottiglia
insolita magia
che ha fatto scappare sua figlia.
Con pugni, schiaffi e oggetti
lanciati al primo venuto
noi tutti eravam perfetti
bersagli, se era bevuto.
L’alcol l’ho preso anch’io,
le canne se mi piaceva.
Ho fatto a modo mio
e sempre quel che mi pareva.
A quel punto mia madre
dopo vent’anni che sopportava
ha denunciato mio padre
e l’ha buttato in mezzo alla strada.
Non è giusto, poverino.
Da tre giorni non beve niente.
Lavora un momentino
ed è proprio astinente.
Lui ha lasciato il bere
e lei deve perdonarlo.
Non c’è niente da vedere
dovete solo accettarlo.
Addio comunità
ciao giudice e assistente.
Ormai di stare qua
non me ne importa niente.
Era questo l’obiettivo
ora lo riconosco.
E se non vi ho convinti
vi mando dritti in quel posto.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche