Melina voleva essere una fata, muovere un cambiamento, guidarlo, assestarlo secondo ciò che si aspetta. Dimentica che la vita degli altri non è nelle sue mani, fossero anche i suoi genitori. La mamma, ora che per la prima volta in più di vent’anni ha provato ad alzare la testa, non vuole più stare al gioco. Al giogo. Melina riuscirà ad accettarlo?
Lui diceva “Stai zitta
che non capisci niente”.
Mi sentivo sconfitta.
Davvero mi comprende?
Io sola ho lavorato
tanti anni in campagna.
Una vita ho sgobbato…
per quel che si guadagna!
Pagavo io per tutti.
Ma perché l’ho sposato?
Vent’anni sono brutti
dietro a un alcolizzato.
Cosa potevo fare
tornare in Bulgaria?
Mia figlia può studiare
in Italia, ma via?
Non so se ho fatto bene.
D’altronde in tanti anni
non sai mai se conviene
parlare dei tuoi affanni.
Ripeteva “Stai zitta
tanto non vali niente”.
Mi chiudevo in soffitta.
che poi a me chi mi prende?
Il tempo è andato oltre
i guai sono peggiori
mia figlia ormai mi sfugge
e spesso dorme fuori.
È in piena adolescenza
ovviamente mi sfida
un po’ ha insofferenza
per la stupida corrida
che avvia il suo papà
quando beve parecchio.
Ma un po’ lo vuole qua
mi urla nell’orecchio
che lui è tanto depresso
che in fondo è tanto buono
dev’essergli concesso
l’ennesimo perdono.
Però io sono stanca
sono proprio esaurita.
Quell’uomo non mi manca.
Vorrei la mia vita.
Le parlo in italiano
giudice, mi capisce?
Lo sa che per me è strano?
Un piacere che stordisce.
La favola di Melina: la ragazza
La favola di Melina: il padre
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche