Nella coda più fredda di questo inverno ho notizia di una mamma che col suo bambino (non ancora 6 anni) trascorre i pomeriggi in autobus, pur di stare al caldo, perché se il bimbo fa rumore papà si arrabbia. E quando papà si arrabbia, si sa già come va a finire.
4 gradi sotto zero
batto i denti, son sincero.
Batto i denti alla fermata
con la mamma un po’ ammaccata.
Quando il 4 arriverà
la mia mamma scalderà.
Sto sul 4, son l’autista.
Quella donna l’ho già vista.
Stretto stretto al suo mantello
c’è un tesoro molto bello.
Con lo sguardo serio e scuro
è suo figlio di sicuro.
4 costole spezzate
le sue botte son bastate.
Poi ha urlato “Adesso fuori!”.
Ero piena di dolori.
Mi ha spaccato pure un dente.
L’ho implorato: inutilmente.
Pomeriggio, ore 4.
Sono proprio soddisfatto
e mi schiaccio un pisolino
senza gli urli del bambino.
C’è voluta una lezione
ma han capito che ho ragione.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche