In un giorno d’udienza di qualche tempo fa, in altrettanti procedimenti ho incontrato quattro padri. Non potevano essere l’uno più diverso dall’altro fatti salvi due soli tratti in comune: una relazione di coppia violenta con la madre dei loro figli e l’essersi commossi durante l’udienza.
Porti lacrime disperate
esibite, urlate.
Per me il nodo è la violenza
per te è trovarti senza
un permesso per restare.
Non ti posso guardare.
Mi urta starmene qua.
Mi urta anche la tua poca dignità.
Si asciuga gli occhi anche quello
pulito, azzimato, ex bello
che ha ottenuto la separazione
con una sostanziosa elargizione.
Lei in cambio gli ha rimesso la querela.
È tutta una sequela
– o se vogliamo un balletto –
dopo la violenza, con poco rispetto.
Piange il ragazzo
irretito in un amore pazzo
dove le botte le prende lui, da un’amata
che è stata a suo tempo malmenata
dal padre. Forse anche un abuso.
C’è la protervia, c’è l’uso
di cocaina.
E c’è, in tutto questo, una bambina.
Si scioglie infine
quest’uomo di fuori confine.
Botte regolamentari
rieducative, in tutti i giorni pari
ma “se le meritava”.
Mi domandava
di rivedere i suoi figli.
Attendiamo più miti consigli.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche