In tribunale abbiamo notizia di un’adolescente pakistana che diserta la scuola e vive con i genitori e i fratelli in condizioni al di sotto della decenza sotto ogni profilo: sanitario, igienico, delle possibilità di futuro. Sono intervenuti i servizi per un allontanamento d’urgenza. La ragazza si è opposta con tutte le sue forze per non andare via.
Io voglio stare qui
come una cosa
polverosa.
Qui come una pianta
disseccata, stanca
sul mio pagliericcio
chiusa a riccio.
Me ne sto qui
e non me ne importa niente
dell’altra gente
con questo gelo
in casa, nelle ossa
con questo velo
senza che mai possa
neppure immaginare
di poterlo alzare.
Voglio stare qui
senza decidere mai.
Come giudicherai
il mio matrimonio sfarzoso
e il mio sposo
conosciuto da un giorno.
Non c’è ritorno
e non ritornerò a scuola.
Troppo sola
è la vita che aspetta,
tua diletta.
Resto qui.
Ma filtra un po’ di sole
tra le tue parole.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche