Per Sana, Farah e le altre
A pochi giorni di distanza la cronaca ci fa conoscere due ragazze pachistane: Sana, 16 anni, di Brescia, condotta in Pakistan con l’inganno e uccisa dai familiari perché era innamorata di un ragazzo italiano e si ribellava ad un matrimonio programmato, e Farah, 19 anni, di Verona, condotta in patria dai genitori con l’inganno e poi legata e picchiata fino a procurarle l’aborto per un bambino frutto di un amore proibito.
Storie analoghe raggiungono anche il Tribunale per i Minorenni e sono tra le più difficili da trattare. Il TM è sempre presente per assicurare a queste ragazze la possibilità di esercitare i loro diritti ma estremamente ardua è, per loro, la scelta, strette al solito angolo tra identità e appartenenza.
Notizie lontane
di fiducia tradita.
Aborti e mammane.
Prigioniere a vita.
Ci vuole coraggio
per una ragazza
tenuta in ostaggio
o passata per pazza
ad alzare la testa
camminare diritta
in mezzo alla tempesta
e probabile sconfitta.
Ma il velo sui capelli
non imprigiona i pensieri.
Le ragazze hanno cervelli
provano desideri.
La violenza più atroce
non suggella il segreto
non spegnerà la voce
che si oppone al divieto
se ad ogni latitudine
per arduo che sia
tra tanta solitudine
irrompe l’energia
felice delle donne
che accetta la scommessa
apparentemente soccombe
ma poi ritrova se stessa.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche