In comunità è entrata dopo che ha denunciato per abusi il compagno della madre. Non è stata creduta, non dal giudice degli adulti (rancorosa, gelosa della mamma, sicuramente) e non dalla mamma che alla fine quell’uomo lo ha lasciato, ma per tutt’altre ragioni. Così la ragazza è ancora in comunità e chiede di restarci, è l’unica nicchia dove trova quiete.
Scusa
non parlo con te né con nessuno.
Sono delusa.
È stato tutto fumo
e niente arrosto.
In questo posto
con bravi educatori.
io guardo fuori
con poca nostalgia.
La porcheria
è stato lui a abusarmi
o più è stata mia madre a diffidarmi?
Mio padre
chiuso nella sua notte
se lo inghiotte
il vicino l’acido il gioco.
Io valgo poco.
Dovrei saperlo di che razza siete.
Come comete
attenti per lo spazio d’un mattino.
Ma io indovino
che dopo la mia udienza ti allontani
e te ne lavi le mani
come tutti.
Non credo ai tribunali
posti brutti
che tarpano le ali.
Se davvero sei per i minori
per favore, non mandarmi fuori.
Forse mi sono chiusa in un imbuto
ma qui almeno qualcuno mi ha creduto.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche