Di due genitori, se uno solo resiste in genere è la madre. Non stavolta, che cultura, abitudini e patologie psichiatriche rendono la mamma davvero poco affidabile. Resiste il padre, ci sono i nonni paterni, ma quando la lancetta si avvicina all’adolescenza la ragazza presenta il conto.
Mi è nata con l’etichetta
come la merce del supermercato.
Le sta davvero stretta.
Ha il futuro segnato
da una mamma ballerina
circondata da bellimbusti.
Ci ha lasciati, indovina,
per uno dei suoi fusti.
Così a scuola i bambini
la umiliavano in coro.
S’impara da piccini
quanto vale il decoro.
Però la mamma assente
produceva sgomento
e quando era presente
era un continuo lamento.
L’ha cullata sempre poco.
Si alzava a mezzogiorno.
La bambina era un gioco
e io un contorno.
Se l’alcol la annebbiava
io ho visto bene che
il denaro interessava
senz’altro più di me.
Io l’ho lasciata andare
e ho tenuto la bambina.
Ora vuole insinuare
che è stata una rapina.
Ubriaca è aggressiva
con chi le passa accanto,
si atteggia da gran diva
però poi ha pianto
quando ha avuto la denuncia
perché ha reagito a un… dissidio.
Lei dice “scaramuccia”
ma fu tentato omicidio.
Non so se per amore
per vergogna o per pena
le ho pagato un dottore
che fermasse l’altalena.
Una clinica ovattata
è pur meglio di una cella
e mia figlia è innamorata
della mamma strana e bella.
Però ormai è adolescente
e io sono preoccupato,
non ascolta più niente
e so già che ha rubato.
I suoi amici quel giorno
le hanno fatto uno scherzetto.
“Comincia tu, dopo torno…
così io non ci rimetto”.
Lei capisce, è una ragazza
molto in gamba veramente
ma c’è chi pensa alla razza:
buon sangue non mente.
Io non voglio anticipare
il futuro che l’aspetta.
Posso solo immaginare
quanto pesa un’etichetta.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche