Con un’amica della comunità Elizabeta, ragazza rom che aveva scelto di studiare, aveva stabilito una parola chiave: “Se ti scrivo così vuol dire che i miei mi hanno portata via”. Quel codice ha dovuto lanciarlo davvero, ne sono state avvertite le forze di polizia oltre al tribunale per i minorenni. Non sappiamo ancora cosa avverrà.
Sei stata accorta
hai preventivato
– profonda esperta –
un messaggio cifrato
per dire “Aiuto
mi hanno rapita.
Sembra un imbuto
questa mia vita”.
L’avevi portata
su altri binari.
Ti hanno aiutata…
Non i tuoi cari.
Volevi studiare
pensare al futuro.
Volevi cambiare.
Si è alzato un muro.
È stato sequestro.
Così si chiama
l’estremo gesto
di chi non ama
perciò ti piega
vuol sopraffarti.
Scalci e ti lega.
Vuole annullarti.
Ti hanno portata
troppo lontano.
Sei scoraggiata
ma pensi al tuo piano.
Mandi un segnale
c’è chi intercetta.
Non è banale.
Inizia la ricerca.
Non si sa ancora
cosa avverrà.
Ad ogni ora
ti troverà
forse un agente
per liberarti
oppure niente
e dovrai adeguarti?
Penso al tuo sguardo
la tua fermezza.
Ci vuol riguardo
per la bellezza.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche