Ognuno di noi porta nel cuore alcuni insegnanti più di altri. Pietro Bellasi è stato un professore amatissimo da generazioni di studenti e un grande uomo di cultura. Se n’è andato poche settimane fa. Questo ricordo è per lui.
Una filastrocca
fatalmente scocca
per te che avevi il gusto
delle rime al posto giusto.
Dormi, dormi professore.
Te lo dico con amore.
Dormi fino al nuovo giorno
quando forse c’è ritorno.
Resta accanto a Katerina
grande donna piccolina.
Stai vicino a chi ti ha amato.
Non sarai dimenticato.
La follia l’hai evocata
con la chioma spettinata
ma il tuo timbro chiaro e forte
ci ha socchiuso tante porte
e la schietta intelligenza
distillata alla sua essenza
riversavi poi in scrittura
che è sapiente e che si cura
di asciugare le ferite
quando imbevono le vite
di noi tutti molto umani
e ci segnano le mani.
Nei tuoi sogni porta ancora
caldo abbraccio dell’aurora
i tuoi libri e i cari gatti
che ti osservan soddisfatti
Ti accompagnino gli artisti
mille tele ai gusti misti
con cui sbirci nel mistero
per capire cosa è vero.
Resta il tuo divertimento
(anche questo è insegnamento)
per le cose, per la gente
e per te stesso. Era frequente
il tuo riso per la gioia
(no, la vita non ti annoia)
e la candida ironia
che ogni nube scaccia via
ma hai sondato anche il violento
il corrotto, lo sgomento
l’uomo ottuso e imprigionato
morto prima d’esser nato.
Me ne hai detto ora che è poco
e non era solo un gioco
quel tuo rimanere all’erta
con presagi di tempesta.
Dignità ti ha accompagnato
e se un prezzo l’hai scontato
ti ripaghi quel che resta
di te in noi, qui a farti festa.
Non ci manchi quel profondo
tuo interesse per il mondo
quell’amor di conoscenza
che è radice alla speranza.
Mi hai donato leggerezza
riso aperto e la franchezza
del tuo abbraccio sulle scale.
La tristezza, eccola, sale.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche