Il progetto di legge per riformare l’affido condiviso, presentato dal senatore Pillon, prevede come obbligatoria per tutte le coppie la mediazione. Una condizione che non può essere applicata nei casi di violenza, afferma la Convenzione di Istanbul (approvata dal Consiglio d’Europa e ratificata nel nostro paese nel 2013) e concorda chiunque abbia a che fare con la violenza di genere. Ma il testo in discussione sembra ignorarlo.
Su questo progetto di legge sono state lanciate diverse petizioni, sia a favore sia contro. Tra queste ultime segnalo quella promossa da D.I.RE., la rete nazionale dei centri antiviolenza: https://www.change.org/p/il-ddl-pillon-su-separazione-e-affido-va-ritirato-giuseppeconteit-luigidimaio-alfonsobonafede-matteosalvinimi
Questo senator Pillon
è davvero un burlon.
“Mediazione a tutte l’ore!”
e lui, toh, è un mediatore.
“Sì, ma quando c’è violenza
di mediare si fa senza”,
tuona Istanbul, che è legge
e le donne le protegge.
“La violenza non esiste”
il senatore insiste
“me l’han detto i separati
regolarmente associati.
Tutt’al più forse un buffetto
una spintina, un calcetto
una lieve fratturina
quando l’ha chiusa in cantina.
Si dirà che c’è chi muore
ma, mie care signore,
quello è un caso di raptus
spinoso come un cactus.
Strappa il cielo come il lampo
per la donna non c’è scampo
romba forte come un tuono
e si quieta nel perdono.
Dico dunque avanti tutta”.
Qui la storia si fa brutta.
“Vieni obbligatoriamente
a mediar spontaneamente”.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche