È l’offesa all’infanzia. Una bimba di pochi anni in trine e belletto addestrata in famiglia, col bastone della scopa, alla lap dance e a quel che segue.
Tutto si confonde. Tutto la distrugge.
Erano a rete, e nere
quelle che certe sere
m’infilava la mamma.
Sono la bimba che balla.
Senza tette né sedere.
sta’ un po’ a vedere
quello che so imbandire
senza morire.
Ho pochi anni
e sono pieni di danni.
Tanto, “Non capisce niente
è deficiente”.
Ricordo un nano
un gran villano
che con un laccio stretto
fissato al letto
mi teneva ferma.
Non è che dorma.
Non posso stare sveglia.
Lui mi sorveglia
m’invade da ogni parte.
Scappo su Marte
mentre mamma sta a guardare…
lo fa pagare.
Mi scioglie da quel laccio
e io l’abbraccio.
Penso che allora è buona.
Qualcosa stona.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche