La PAS è una malattia immaginaria inventata da alcuni – si fa per dire – psichiatri per spiegare che quando un bambino rifiuta un genitore è colpa dell’altro genitore. Così il primo, l’allontanato, non deve nemmeno fare la fatica di mettersi in discussione.
Ma sarà vero che non ha fatto niente di sbagliato? I condizionamenti esistono, ma non sono l’unico motivo possibile.
E soprattutto: perché è tanto difficile credere che un minorenne possa pensare con la propria testa?
Non mi PASsa in fretta la paura.
È lunga, e dura,
ritorna quando meno te l’aspetti.
Ti riprometti
“è passata, dai, sei un’altra persona”
ma non sta buona
mi prende e mi tremano le gambe.
Lei fa domande
si chiede chi mi ha condizionato.
Son barricato.
Il brutto è non poterlo più incontrare
senza pensare
che tutto ricomincia dall’inizio.
Non PASsa il vizio
di presagire quel che s’avvicina.
Non indovina?
So fare anch’io
a dire quel che penso, sono io
che incontro il mio bisogno di un divieto
così mi acquieto.
Sono un bambino
e voglio che non PASsi qui vicino.
Sono un bambino
però sono capace di sentire.
Lo provo a dire
ma se lei non mi crede, ecco, non vale.
Stia ad ascoltare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche