Sono sempre più frequenti le notizie relative a insegnanti che maltrattano gli alunni. Tante eccezioni dovrebbero indurre a un ragionamento d’insieme, e non sono sicura che la videosorveglianza promessa sia la soluzione migliore.
Ci soddisfa guardare
in faccia i cattivi
per poterli insultare
o farne dei divi.
Se poi l’abiezione
ha forma di insegnante
c’è la televisione
a indicare il mutante
che dovendo parlare
con dolcezza ai bambini
arriva a strattonare
varca tutti i confini.
La lesta soluzione
sembra la sorveglianza
che non è attenzione
ma delega a oltranza.
Lady Tecnologia
montata in ogni dove
per noi farà la spia
raccoglierà le prove.
Come se poi ci fosse
qualcuno lì, a guardare.
Come se ci bastasse,
dopo, sanzionare.
La strada alternativa
come la formazione
è molto impegnativa
richiede comprensione.
E forse dare atto
che insegnare è stancante
significa di fatto
che anche un insegnante
dovrebbe esercitare
fino a una certa età
e potersi riciclare
andare via di là.
A 58 anni
con 28 bambini
si possono far danni
addosso ai ragazzini
o quello un po’ depresso
per motivi personali
non controlla se stesso
tratta i bimbi da animali.
Avere questo sguardo
è dire che la scuola
che funziona è un traguardo
non pretesa che consola.
La trama del tessuto
non è rassicurante
ma assomiglia al vissuto
più mio e di tanta gente.
Le cose da lontano
rimangono sfocate.
È miopia o c’è proprio un piano
che vuole scelte sbagliate?
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche