Sulla stampa l’ennesima polemica fomentata da politici e avvocati scontenti per puntare il dito contro gli allontanamenti dei bambini. Sarebbero troppi, come pure le strutture di accoglienza, immotivati, prolungati, manovrati da interessi economici. Tutti addosso ai servizi dunque, dimenticando che chi decide sono altri, i giudici cioè. E trascurando che non basta essere genitore o figlio per sapere come si fa a proteggere l’infanzia.
Che te lo dico a fare
tutto quello che incontro
se continui a dubitare
e a spararmi contro?
Dico come si fa
tutta la procedura
tu insinui che qua
sia tutta una congiura.
Di più, un ladrocinio.
Perfino i magistrati
sottoposti al dominio
son tutti buggerati.
È un dialogo tra sordi
non ti posso accontentare.
E voi, tutti ingordi
con l’ansia di accertare.
Come se fosse niente
una valutazione.
Può farla allegramente
qualsiasi bontempone.
Pensare che ci sono
tre grandi di giudizio
e tu prendi per buono
che si agisca per sfizio.
Civili o penali
si chiamano processi.
Li fanno i tribunali
non un branco di fessi.
Purtroppo vi crede
il vostro uditorio
ma c’è una sola sede
ed è il contraddittorio.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche