Sento un peso sul petto
sono qui a consegnarlo
perché per me il rispetto
vale più di un miliardo.
Il babbo mi manca.
Lo so che ho sbagliato.
Vabbè, ero stanca
però ho urlato.
Litigavano molto
lui si era ubriacato
ma io ho torto
perché l’ho affrontato.
Mi son messa nel mezzo
lui picchiava mia madre
con i pugni sul petto
ho fermato mio padre.
Tu mi chiedi chi altri
ha sbagliato qualcosa.
Sì, mia madre. I disastri
si tingono di rosa.
Io l'ho detto con lei
devi lasciarlo in pace
quando beve, lo sai
il rimbrotto non piace.
Ha bevuto, va bene
ma era pieno di guai
e perciò non conviene
contraddirlo, mai!
Siamo una bella famiglia
tolto il mio è il suo sbaglio.
Mi sforzo, come figlia
oppure prendo un abbaglio?
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche