(un brutto sogno per un brutto fatto)
Filastrocca scivolosa
cambia il verso di ogni cosa
e se il verso sembra ingiusto
cresce l’onda del disgusto.
Sei su un palco, luci spente
e ti senti un po’ impotente
la paura certo è molta
e non sai se c’è chi ascolta.
Hai scordato anche la parte
tu per loro sei di Marte.
Vuoi spiegare, o forse è il pianto
il sollievo al disincanto.
Volti amici trasformati
volti ormai trasfigurati.
Tu rimastichi parole
che si sfaldano da sole.
Cerchi in sala, buio pesto
questo gioco non è onesto
quel che dite non ha senso
ma è vietato anche il dissenso.
Lasci il palco ed esci fuori
a cercar giorni migliori
o ti lasci attraversare
e stai qui con quel che vale:
un amico caro e giusto
che ridona senso e gusto
e ogni giorno dedicato
non dev’essere stracciato.
Ci vorrebbe la poesia
per tenersi compagnia
per parlare a chi non sente
anche se non serve a niente.
Ma chi è il tuo creditore?
Sei tu stessa, il te migliore
a cui devi quel rispetto
che è negato dal rigetto.
Poi la forma non la vedi
forse è presto e non la chiedi.
Per poterla immaginare
hai bisogno di ascoltare.
La risposta ce l’hai dentro
ma è sbagliata, dice quello.
Però è l’unica che hai
perciò non tradirla mai.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche