Le cose hanno una fine
perché meravigliarsi?
C’è da intuire il confine
e riorganizzarsi.
Ci penso, e questa sera
cincischiando qua e là
trovo, parola austera,
responsabilità.
Non faccio per vantarmi
ma qualcosa ne resta
e viene a pungolarmi
bussa nella mia testa.
Cosa farò in futuro
di tutto ciò che ho visto
se mi hanno eretto un muro?
Per ora non insisto
ma sento che il dolore
ricevuto in abbondanza
ha impregnato col suo odore
tutto nella mia stanza
e che comunicarlo
portarlo non so dove
è, in fondo, trasformarlo
attraverso le parole.
O sono solo io
che ho bisogno di un senso.
Procedo a modo mio
spingendo controvento.
Non ho tanti strumenti
sicuri in mio possesso
con l’anima tra i denti
provo a cantare lo stesso.
La forma, la maniera
che ancora non conosco
sarà una frontiera
verso un luogo nascosto.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche