C’è una rabbia speciale
che mi prende alla gola
non cessa di far male
e niente la consola.
Ha al centro una bambina
con disabilità
torturata, piccolina,
dal tato e da mammà.
Una bimba di tre anni…
Accanirsi, perché?
Ha subito tanti danni
e, ripeto: anni tre.
Botte, lividi, fratture
impedita nel sonno
ogni sorta di brutture
ignorando il suo bisogno
che è di tutti i figli,
quello d’essere amata.
Lei cercava i nascondigli
per non essere trovata
dalla mamma e dal compagno
che – il racconto è atroce –
senza nessun guadagno
la mettevano in croce.
Via da casa, e di corsa!
Qui il sangue è una disgrazia.
Ti lega, ed è una morsa,
proprio a chi ti strazia.
Via da casa, ti cerchiamo
una famiglia nuova
dove sia bello, speriamo,
l’abbraccio che ti trova.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche