Una pallina da ping pong
che va veloce, e molto
strapazzata un bel po’
senza nessun ascolto.
Han deciso per me
senza chiedermi niente
nel tempo di un caffè
anticipatamente.
Si chiamano codardi
se non sanno affrontare.
Si chiamano infingardi
se stanno a interpretare.
Si chiama ipocrisia
se si ammanta di sorriso.
Si chiama eutanasia,
però hanno deciso.
Sarà una proiezione
se il problema è in loro.
Sarà competizione
se il guasto è tra di loro.
Mi sembra supponenza
se l’istruttoria è sbagliata.
È errata la sentenza
quando non è motivata.
Decoro e dignità
sono diversi concetti.
Quando mi trovo qua,
tra certi soggetti
ancora mi domando
cosa non ho capito,
dove c’è stato il danno
dove si è rotto l’ordito.
Eppure Vostro Onore
la verità non esiste
– ripeto con vigore
al martello che insiste.
Eppure, sto imparando,
la verità è un gran papocchio
deformata a comando
da una pagliuzza nell’occhio.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche