Vi racconto la sorte
di una mamma picchiata
dal suo ex consorte.
Beh, non è tutelata.
Se trattiene i bambini
è una mamma ostativa,
se gli lascia i bambini
non è più protettiva.
Se non c’è una denuncia
la violenza non c’è stata
ma se chiede una pronuncia…
che donna assatanata!
Se parla coi suoi figli
li sta manipolando
se cerca degli appigli
non li sta accompagnando.
Se si fa refertare
è per avere attenzione,
se non si fa medicare
ha troppa immaginazione.
Se va in terapia
è una pazza di sicuro,
se invece scappa via
è testarda come un mulo.
Se poi il babbo abusa
e lei non dice niente
di sicuro è collusa.
Ma se parla… mente!
Solo se lui la uccide
la violenza è accertata
ma ancora qualcosa stride.
Perché non è scappata?
C’è chi le vuole cotte,
c’è chi le vuole crude.
Lei intanto prende botte
e a volte a me prude
la voglia di dirvi in faccia
che questa non è protezione.
È bene che una donna non taccia
esprima la sua ragione.
È vero, c’è chi s’inventa.
È vero, c’è chi ingigantisce.
ma se valuti una sentenza
il ruolo ti suggerisce
di esercitarti nell’ascolto
e riconoscere la realtà.
La violenza esiste, purtroppo.
Questa è la verità.
Perché se la donna muore
può anche aver ragione.
ma vedi, vostro onore,
è finita la canzone.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche