Un bambino viene ucciso in famiglia e il sindaco proclama il lutto cittadino. Giusto, è importante condividere il dolore. Ma non, anche, la responsabilità?
Fallo pure il lutto cittadino.
Passa la bara, lancia il palloncino.
Un palloncino rotondo e bianco
per chi piange e per chi è stanco.
Quando vive nel degrado
un bambino, suo malgrado,
e prosegue la mattanza
questa folle, oscura danza
non è proprio un imprevisto
(tutti guardano, chi ha visto?).
Non è un fatto senza storia
(quanto dura la memoria?).
Se un bambino vive male
non è un danno collaterale.
Se lo picchiano per niente
e lui strilla, c’è chi sente?
Picchia forte il suo compagno
e la mamma per guadagno
lascia fare, o ha paura.
Non lo so ma ho premura
di parlare a tutti gli altri
ai tifosi sugli spalti
che inneggiando alla famiglia
imbottita di ciniglia
hanno perso un po’ di vista
questa lunga, lunga lista
di sevizie e di tormenti,
di abusi e maltrattamenti
che i bambini li ferisce
li confonde, li tradisce.
E poi non cercare fuori
guarda prima ai genitori.
Criticarli? Un’ingiustizia.
Limitarli? Una disgrazia.
Un sopruso controllare
più che mai allontanare.
Questo è il lutto, dura un giorno
passa in fretta e tutto intorno
già si asciugano le ciglia
inneggiando alla famiglia.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche