Siamo mute di cani
azzanniamo al calcagno.
Ci prudono le mani
non ci serve un guadagno.
Il sangue già ci basta
e non abbiamo vergogna.
Firmato il nulla osta
per uscire dalla fogna.
e per strisciare armati
con la bava alla bocca.
Siamo cani aizzati
al primo che ci tocca.
Ci tocca il portafoglio
che è tutto il nostro avere
ci tocca il portafiglio
che è il nostro potere.
Potere su un futuro
amputato in partenza,
il presente e poi il muro
che sbarra l’esistenza.
Sbadigliamo saziati
solo a fine battaglia.
Ci riuniamo ingruppati
con la nostra marmaglia.
Non importa se è vero
o ci sono feriti.
Il nostro sdegno è sincero
ci fa sentire arditi
e non le nullità
che siamo realmente
sbattuti in qua e in là
da un odio delinquente.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche