Il gioco si chiama Unisci i puntini.
L’immagine appare con il segno
e, se la punta non sgarra, anche i bambini
sapranno riconoscere il disegno.
Proviamo tutti ma con l’inconveniente
di non avere i numeri per guida
perciò capire il vero veramente
è per ognuno di noi la prima sfida
Quello che vedo è davvero un indizio
è per l’appunto un puntino da unire
oppure un neo, una briciola, un vizio
del foglio bianco, e mi può tradire?
E poi, l'ordine. Quale ordine è giusto?
Che se combino quel che non si sposa
mi tocca dire: “È tutto fuori posto!
Che immagine insensata, questa cosa”.
Perciò mi sembra spesso di annaspare
dentro quel vuoto che tanto mi spaventa
e mi sembra, sì, di naufragare
nell’inquietudine che non addormenta.
E sarà solo un’altra proiezione
ma non mi sembra un problema solo mio.
C’è chi ha le note, sbaglia la canzone
e la diffonde quasi fosse Dio.
Uno ne soffre, un altro si fa forte.
La differenza sta nella sicumera.
L’altro s'inalbera e augura la morte
per quel che ha visto, e chissà se c'era.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche