Nel settembre 2019 sul palco del raduno leghista annuale a Pontida è stata portata una bambina indicata alternativamente da giornalisti e politici come bimba di Bibbiano o invece di un comune della Lombardia. Ancora, si è detto che, allontanata dalla famiglia dal tribunale per i minorenni, era stata ricongiunta ai genitori con decreto o era stata, piuttosto, portata via dalla madre durante un incontro protetto e sottratta per giorni alla comunità e alla scuola per farla salire sul palcoscenico della politica.
Tanto clamore, tanta confusione, tanti scopi tutti adulti. L’unica cosa certa è la presenza di una bimba in un contesto che con l’infanzia non ha proprio niente a che vedere.
Un politico a Pontida
vuol lanciare la sua sfida
e una bimba tutta intera
gli diventa una bandiera.
La bandiera è un po’ strappata
è una bimba allontanata
trasferita già due volte.
Ci saranno delle colpe
da imputare al tribunale
(a ogni mossa fa del male)
o magari alla sua mamma
che è fuggita e ora comanda.
La risposta è sconosciuta
mai nessuno l’ha saputa.
Tanta gente è assai curiosa
neanche un giorno si riposa
Vuole scandali e una gogna
da montare nella piazza.
C’è chi esce dalla fogna
chi s’impegna, chi starnazza.
Penso invece alla bandiera
che è una bimba, una bimba vera.
Penso a cosa le rimane
colla viscida e catrame
di una fama fuori posto
come neve in pieno agosto
di un abbraccio strumentale
che lusinga ma fa male.
Il rispetto dei bambini
deve imporre dei confini.
Già il pensiero di esibirli
è un buon modo per tradirli.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche