Fai la nanna su un filo di lana
Che ti protegge dalla tramontana
Lana riscalda la notte che inghiotte
Non ci saranno domani le botte.
Fai la nanna su un filo di rame
Arriva il sogno e disegna le trame
Sogno spaventa e spalanca i tuoi occhi
È la paura la cosa che tocchi.
Fai la nanna su un filo di seta
E piano piano il respiro si acquieta
Seta riluce trapunta di stelle
Come candele come caramelle.
Fai la nanna su un filo di voce
Ti porterà come un guscio di noce
Voce sussurra e ti svela un segreto
Il nuovo giorno sia chiaro, sia lieto.
Fai la nanna su un filo d’erba
Quella tempesta è stata superba
Erba tagliata che diventa fieno
Il nuovo giorno ti trovi sereno.
Fai la nanna su un filo d’oro
Così prezioso sei tu, mio tesoro
Come corona di oro zecchino
Così prezioso sei tu, mio bambino.
Fai la nanna su un filo di vento
Il nuovo giorno ti trovi contento
Vento che soffia e guarisce il dolore
Come una lieve canzone d’amore.
Nota sulle Filastrocche di Nico:
Tra le cose più belle che mi sia mai capitato di fare c’è la collaborazione con una compagnia teatrale che prende le mie parole e gli dà corpo.
Le parole sono quella della favola “Papà di sole, papà di tempesta” (ed. meridiana 2015, solo e-book), splendidamente illustrata da Giulia Boari. È una storia nata per dare parole agli insegnanti, ai genitori, agli educatori, in modo che possano parlare con i bambini di rabbia e di violenza.
La compagnia è il Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena (Bologna) che ha deciso di lavorare su questa storia e di farne uno spettacolo di teatro ragazzi.
Il regista, Paolo Fronticelli, mi ha chiesto di comporre due filastrocche, una introduttiva per incuriosire gli spettatori e una ninna nanna da cantare per addormentare il protagonista quando è spaventato dalla tempesta del papà. E come resistere?
La prima Filastrocca di Nico: Mamma, mamma, la tempesta!
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche