Nell’ottobre 2019 un gruppo di 25 ragazzi, in buona parte minorenni e residenti in tante città diverse, sono stati messi sotto indagine dalla Procura di Siena per avere inventato e divulgato lo “Shoah Party”. Una chat dove si scambiavano immagini, battute, video che potremmo definire pornografici per i contenuti sessuali molto espliciti, anche pedofili, e che potremmo considerare pornografici per i contenuti brutalmente violenti e discriminatori verso ebrei, musulmani, donne, persone disabili, immigrate…
Faremo una gran festa
con quello che ci resta.
Si chiamerà Shoah.
Vedrai che piacerà.
Ti muove nel profondo
è la più antica del mondo.
L'odio scava e stupisce
per come ci riunisce.
Ci sarà una gran torta
stravista e stracotta.
Avrà per ingredienti
pianto e stridor di denti.
Perché si sa, i diversi
sono tutti perversi
e a starli ad ascoltare
rischi di non odiare.
Pensa agli handicappati
ai negri, ai neonati.
Pensa a tutte le schiave:
che tacciano, da brave!
Pensa certo agli ebrei.
Ignorarli? Non potrei.
Come coi musulmani
mi prudono le mani.
Ti sto seduto accanto.
Che c'è? Ti vedo stanco.
Hai forse il rifiuto
di quello che hai goduto?
Pensa dunque a te stesso.
Vuoi essere diverso?
Ti consiglio di no
perché ti annienterò.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche