L’articolo 403 del codice civile è quello che autorizza l’allontanamento di un bambino dai genitori (o da uno dei due, insieme all’altro) per proteggerlo da una condizione che lo mette in serio pericolo.
Da anni, e di nuovo, c’è chi vorrebbe abolirlo, i più moderati si accontenterebbero di modificarlo.
Il 403
non piace. Sai perché?
Arriva all’improvviso
e squarcia il paradiso.
Raccontatelo a Renata
la bimba appena nata
che è in crisi di astinenza
da eroina in gravidanza.
Raccontatelo a Giovanni
che ogni sera conta i danni
quando dall’appartamento
esce il padre violento.
Spiegatelo ad Ahmed.
Ha pianto davanti a me.
Non si è ancora perdonato
d'esser stato abbandonato.
Convincete Costanzo.
La sua vita è un romanzo.
Lo scriveva di notte
quando finivano le botte.
Persuadete Romina.
13 anni, una mammina.
Giocava col papà
e il frutto, eccolo qua.
Insegnatelo per bene
a Francesca in catene
che si vendeva in campagna
così mamma ci guadagna.
Il 403
non piace, credi a me
perché strappa il sorriso
di chi finge il paradiso.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche