Le vicissitudini giudiziarie in corso stanno ridando fiato a tutti coloro che mettono in discussione gli interventi di tutela per bambini e ragazzi. Nei loro presupposti c’è che tutti i genitori amano i figli, tutti i figli devono crescere con i loro genitori. Purtroppo la realtà dice che non è sempre così e che l’amore non basta.
Bisognerà pur dire che non basta l’amore
non bastano spremute di cuore e budella.
Il bimbo strapazzato come uova in padella
va incontro alla crisi più che voi al disonore.
Per crisi io intendo il gusto di bucarsi
di sbagliare gli amori, farsi male, tagliarsi.
Fidarsi di nessuno, sfuggire agli abbracci
e poi perpetuare i propri catenacci
caricarli sugli altri, sulle persone incontrate
sui figli che verranno, sulle persone “amate"
scritte tra virgolette se riesco a spiegarmi.
Mi dico “adesso taci” ma non riesco a stancarmi.
La vita che ci prende è incompleta per tutti
con i suoi giorni belli, strepitosi e brutti
però un buon inizio è essenziale al cammino.
Incominciamo da qui. Dai diritti del bambino.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche