Vado in quella scuola per parlare di legalità e un’insegnante mi chiede di tornare. Una ragazzina le ha confidato di soffrire molto per una violenza sessuale subita anni prima, nel paese d’origine, da parte del fratello maggiore. Ora la professoressa dovrebbe segnalare ma non se la sente. “Ci parli lei, scriva lei al servizio sociale. Io l’ho già fatto in passato per un’altra ragazza e sono stata malissimo, stavolta non ci voglio entrare”.
È successo tanto
tanto tempo fa.
Mamma, che spavento!
Ero ancora là.
Invece tu non c’eri
eri già partita.
Sembra ancora ieri
e non è mai finita.
Stavo al mio paese
c’era mio fratello
con le sue pretese…
Non è stato bello.
E per sette anni
l’ho tenuto segreto.
Conto ancora i danni
e sconto quel divieto
che poi è una minaccia
del caro fratellino:
“Meglio che tu taccia
o io ti rovino”.
Sono ragazzina
vivo come tante
sono una rovina
tutte le mie domande.
Ma ora lui è lontano
e voglio raccontare.
Svelerò l’arcano
per ricominciare.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche