Non lo so se ve l’hanno detto.
Karim è morto in un cassonetto.
Da dove si comincia?
Posso dirvi la provincia:
Bergamo, la più ferita.
Anche un bimbo ha perso la vita.
Aveva dieci anni, il tempo del gioco
gli spettava tutto, aveva poco.
Cercava qualcosa da mettersi addosso
ora il popolo buono lo piange commosso.
Non vorrei essere quella cassiera
che ha visto spezzarsi la primavera.
Chi può guardare a un bambino incastrato
tra le lamiere, soffocato?
Guardiamo almeno la povertà
che è un oltraggio, e non si fa
di mettere al mondo cinque bambini
se non puoi permetterti scarpe e calzini.
Ed era inserito, a scuola ci andava.
Il Comune, i servizi… C’era chi lo aiutava.
Fosse nato a Ferrara mi domando, curiosa
se avrebbe goduto del buono spesa.
Nessun bambino è una vita di scarto
nessuno è superfluo, ma occorre che un sarto
sia bravo a cucire vestiti a misura
e vesta la vita con forza e con cura.
Fino a ieri Karim era uno di tanti
che girava da solo, smarrito tra i grandi
e chi dà denaro, e chi dà consigli
ma ancora niente che rassomigli
a qualcosa che può assomigliare a un’infanzia
e qui si può perdere la pazienza
che non è solamente colmare i bisogni
ma cullare respiri, matasse di sogni.
Tema non pervenuto per chi tiene l’agenda
bisogna pure che io lo comprenda
un pensiero più ampio costa troppa fatica
e un bambino ha la forza di una formica.
Fino a ieri Karim era uno dei tanti
Rovinava il decoro e urlava ai giganti:
“Avete detto che andrà tutto bene
ma la promessa chi la mantiene?”.
*
La Flastrocca per Karim letta dall'attrice Micaela Casalboni
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche