Si uccide col veleno, con un’arma da fuoco
si uccide col bastone, che è un’arma da poco
a filo di coltello o simulando un incidente
in strada oppure in casa, e non se ne sa niente.
Si uccide strangolando con una stretta forte
ed altri mille modi per dare la morte
a cui si deve aggiungere ammazzare per procura
che condanna la vittima a uno strazio che dura.
Non il tempo dello sparo, delle mani intorno al collo
non l’istante della lama o i minuti in ammollo
saturi di dolore, solitudine, sgomento
ma chiusi, dopotutto, nello spazio di un momento.
Vuoi mettere ammazzarla nei figli che ha cullato
in modo che il dolore corroda, mai saziato?
Certo c’è l’imbarazzo di affrontare l’inizio
ma sono solo bimbi, vittime di servizio.
Un male necessario per compiere il disegno.
Sei il padre e ti riprendi la vita data in pegno.
Ma eran pieni di vita e di te si fidavano
Eri tu, con la madre, i primi che amavano.
Non han chiesto la morte, né di venire al mondo
e tu trovi accettabile fermare il girotondo.
Non han chiesto di nascere né, ora, di morire
questa è la tua follia che la farà impazzire.
Per te una proprietà che puoi sacrificare.
Per lei erano bimbi, vite da accompagnare.
L’angelo del signore non ha fermato la tua mano
Ci sia un angelo custode per la mamma, piano piano.
Elena e Diego, due gemelli di 12 anni, sono stati uccisi dal padre in spregio alla madre dei due bambini da cui lui si stava separando, e poi si è suicidato. La notizia è della fine di giugno 2020.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche