Mi dai l’interessicchio, me lo dai?
La rata che mi spetta, ce la fai?
Dico per te, per la tua famiglia,
il tuo futuro, e chi si somiglia si piglia.
Piglio i tuoi debiti in cambio di denaro.
Non sono io il tuo amico più caro?
Io ti conosco, vedo il tuo tormento
e ti soccorro con un altro argomento.
Parliamo della casa, dell’azienda.
Un’ipoteca è una brutta faccenda
ma tu non corri rischi, son sicuro.
Tutto andrà meglio, mi pagherai in futuro.
Toh, ecco, un prestito per pagare la rata
della beneficienza già erogata
e se non hai più case, ecco il consiglio:
potresti sempre prestarmi tuo figlio.
Ho giusto un lavoretto, qui, da fare
una cosa pulita e assai legale.
Servono braccia, piccole è un vantaggio.
Se è minorenne si allarga il ventaglio.
Può fare tutto senza dare nell’occhio
e intanto ci sei fino al polpaccio, al ginocchio,
ti sale fino al cuore, fino al collo
la sostanza umiliante che ti tiene in ammollo.
Ti sale fino agli occhi, e più non vedi
neppure il valore che cedi.
Non hai speranza ma io ti sono amico
e in un sussurro vengo e ti dico:
Mi dai l’interessicchio, me lo dai?
La figlia che mi spetta, ce la fai?
“L’Italia degli usurai. Figli dati in pegno per pagare i debiti: l'ultima vergogna” è la notizia pubblicata sul quotidiano “L’Avvenire” del 10 luglio 2020 a questo link.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche